La narrazione, il più formidabile
acceleratore dell’esistenza.

Come fa l’acqua a trascinare un sasso? È solo acqua. Un soffio di vento può davvero chiudere una porta? È solo vento. E come può la scrittura muovere la lettura? È solo parole. Tessere una trama è più complicato di elencare i fatti. Ci vuole il filo del discorso. E il racconto di una storia è molto più complicato della storia. Ci vuole la narrazione.

La sua dose non può mancare per raccontare la tua azienda. Lì dentro ci sono un sacco di storie da raccontare e là fuori un sacco di persone aspetta che tu le racconti. Ma se la tua scrittura si vanta di quanto sono «eccellenti» i prodotti e «performanti» i servizi, quella è una brochure, non una narrazione. E di fronte a due o più brochure le persone non percepiscono la differenza, tra un’azienda e un’azienda, tra il prodotto di una e il prodotto dell’altra. Ci devi mettere la narrazione.

Raccontare i prodotti di un'azienda è quello che fa la narrazione con la sua invenzione, non la brochure con la sua impaginazione. Raccontare un'azienda è quello che fa l'irripetibile congegno dell’immaginazione, non il solito convegno di parole del marketing in mondovisione. Raccontare la realtà è quello che fanno le storie con le parole narranti di un libro di letteratura, non il marketing con le pagine burocratiche di un manuale di storytelling.

Un pezzo di legno si trasforma in un pupazzo di legno. Peter Parker in un uomo che è anche ragno. Bruce Wayne in un uomo che è anche pipistrello. Clark Kent si trasforma in un uomo che ha qualcosa di super. Don Diego de la Vega in un uomo nero e mascherato che si firma con la Z. Senza queste trasformazioni un elenco di fatti non può diventare una trama. Qualcuno ha dovuto metterci il filo del discorso. Che poi è diventato il racconto della storia sotto la regia della lingua e il montaggio del ritmo.

Topi che si trasformano in cavalli. Una zucca in una carrozza. Quattro stracci sporchi addosso diventano un abito da favola. Il Brutto Anatroccolo diventa sullo specchio d’acqua un cigno bianco. La Bestia si trasforma in un principe a fianco della Bella. Peter Pan non diventa adulto, ma più grande dei grandi con il volo. Il Genio della Lampada trasforma in realtà le richieste di Aladino. Senza queste trasformazioni la realtà non può diventare una storia, e quelle storie non potevano diventare un racconto. Qualcuno ha dovuto metterci la narrazione.

Per questo scriviamo storie che sono favole: perché la favola addomestica la realtà. È la sua portavoce più lontana, ma che al lettore più la avvicina. Scriviamo storie che sono favole perché il marketing favoleggia su tutto e rifila a tutti storie favolose. Il narratore invece non perde il filo della favella e ogni volta che scrive fa faville.

Scriviamo storie che sono favole perché la favola è la forma stupefacente della scrittura. La prepara con dosi stellari di immaginazione perché quando la realtà sta stretta è lo spazio extraterrestre la taglia che somministra.

Scriviamo storie che sono favole perché una favola fa volare. E questa è l’unica morale che la favola – alla fine della storia – a tutti può lasciare. Ciò che invece ci rilasciano le aziende è la sostanza profilattica del marketing – lo storytelling – per proteggersi dal contagio della narrazione. Così, la sterilità delle presentazioni delle aziende la trovi in ogni chi siamo. E la fertilità della narrazione diventa rara. Come la virtù.

Colpisce i soggetti appartenenti alla famiglia degli alfabeti, non degli storyteller. I sintomi della narrazione li senti addosso in tutte le unità di misura: il tuo sguardo che si allunga fino all’orizzonte, il tuo peso perde forza per l’assenza della gravità, la tua capacità di contenimento aumenta con l’aumentare dell'attività onirica. Conscia e inconscia.

Il virus virtuoso della narrazione è trasmesso con frasi del tipo «La narrazione è il più formidabile acceleratore dell’esistenza. Una volta provata questa accelerazione non si smetterebbe più. Chi si trova in questo stato di dipendenza rispetto alla lingua è quello che chiamano lettore». Oppure «Scrivere senza raccontare è come esistere senza vivere. Prese da sole le parole sono innocenti, ma è nella loro relazione che viene fuori la colpa. La colpa di avere dato vita a una storia». E ancora «Un libro è un fenomeno antropologico simile all’invenzione della ruota. Il libro è un mezzo di trasporto che attraversa lo spazio dell’esistenza alla velocità della pagina voltata. Un libro, non un manuale». O senti questa «Quando invento una storia, so che la storia è falsa, ma mentre la scrivo debbo crederci. La fede narrativa è la momentanea sospensione dell’incredulità». E infine questa: «La narrazione è l’antidoto al fanatismo: inietta immaginazione nelle persone. E l’immaginazione è il contrario del fanatismo».

La narrazione è considerata il virus che più influenza la scrittura in tutto il mondo. Ma fino a oggi nel mondo delle aziende non è mai stata segnalato dalle autorità competenti: Ceo senza cda, Responsabili marketing con cda, Seo Specialist aggrappati alla griglia di partenza della Serp, Senior rebranding consultant con 14 anni di esperienza, LinkedIn & social selling specialist, Facebook Marketing Expert, Blogger and digital marketer con la chitarra elettrica, Tedx Speaker appena scesi dal palco, Executive Recruiter in cerca di soft skill, Storyteller in cerca d'autore.

Del resto, il marketing non percepisce la differenza, tra un albero e un albero, tra un fiore e un fiore. L’immaginazione, sì. E lo storytelling sa solo trasformare il logo in un brand. Una cosa così precisa come il disegno grafico delle lettere in una cosa così vaga e ondivaga come il brand. Solo la narrazione sa trasformare un paio di zoccoli in due scarpette di vetro.

Quando la narrazione entra nella scrittura di un’azienda, l’azienda diventa narrazione. La trasformazione è analogica, non digitale. Perché una storia nasce dall’esperienza di qualcosa estratto dalla cosa che l’ha ispirato. Il prodotto di un’azienda è il risultato di un lavoro logico. Il racconto di un’azienda è il risultato di un lavoro analogico: sviluppa la storia con protagonista il prodotto.

La corrispondenza tra due creazioni diverse – il prodotto, la storia – ma collegate da uno stesso filo: dentro il prodotto nasce la storia e dentro il suo racconto il lettore si ritrova. È così che prodotto e storia diventano l’uno il riferimento dell’altro: il prodotto ricorda al lettore la storia, e la storia gli ricorda il prodotto. Una convivenza che solo l’intricato filo della trama può tenere insieme.

Del resto, il volo di una farfalla è più complicato della farfalla. E l’infinito del cielo è qualcosa di più complesso del cielo. Ci vuole immaginazione per raccontarlo. Qualcosa che impari dai libri di storie, non dai manuali di storytelling.

Perché ci sono storie che ritornano là dove ancora non esistevano. Nel luogo dove erano prima di nascere. Sono le storie che finiscono perché non sono mai davvero esistite. Storie che non avrebbero mai dovuto iniziare. E ci sono storie che arrivano là dove nessuna storia è mai arrivata. Nell’unico posto dove davvero potevano esistere. Sono le storie che mai avresti pensato potessero partire. Storie che non avrebbero mai dovuto finire.

Andrea Ingrosso

Copywriter – Autore di scrittura per le aziende.

© 2021 Mamy

DOLCE ATTESA.

Leggere un classico della narrazione è sempre un piacere. Ma riscrivere quel racconto secondo il proprio punto di vista narrativo è un piacere doppio. Si smontano i fatti dall’ordine cronologico della storia e si rimontano le scene secondo il proprio gusto cinematografico. È l’argomento della lezione 5 del corso di narrazione Ciak, si racconta. Scrivimi a questo indirizzo pancione@mamyadv.com o chiamami a questo numero 338 5322126. Sarà un piacere per me presentarti le 10 lezioni.