I princìpi di quel
grandangolo
di un Jeff Bezos.

C’erano 170 milioni di dollari abbandonati sotto uno spesso strato di polvere al fulfillment center di Phoenix. Era il valore delle rimanenze di magazzino della più ambiziosa tra le innovazioni: migliaia di Fire Phone accatastati dentro giganteschi pallet di legno aspettavano di conoscere il loro destino. Quando il 18 giugno 2014 fu presentato allo spazio eventi Fremont Studios di Seattle, nessuno del team che aveva sviluppato il modello si era preso la briga di violare il principio 13 dell’azienda: «I dipendenti che sono in disaccordo con una decisione devono mettere da parte i dubbi e darsi da fare per sostenerla». Eppure, il telefono con display tridimensionale e l’interfaccia che reagiva ai gesti del proprietario sarebbe fallito per le ragioni che tutti pensavano che avrebbe fallito, ma nessuno alzava la voce per sostenerle. Il tono basso di voce, che dopo solo 3 mesi dal lancio ammise il fallimento e ordinò la cancellazione del progetto, era di qualcuno che nonostante tutto sapeva a che cosa sarebbe andato incontro. «Inventare è un lavoro sporco, e con il tempo è sicuro che collezioneremo anche qualche grosso insuccesso».

Quando a Seattle aprì il primo Amazon Go, Walmart era già la più grande catena di negozi al mondo per la grande distribuzione organizzata. Entrare in un mercato con 11.847 negozi distribuiti in 27 paesi poteva sembrare un bel po’ ambizioso. Farlo con una tecnologia che consentiva ai clienti di uscire dal negozio senza passare alle casse, mentre l’intelligenza artificiale addebitava la spesa nel loro conto corrente, finora si era vista solo al cinema. Eppure, Jeff Bezos anche lì sarebbe arrivato. Gli investimenti già pianificati per Hollywood con gli Amazon Studios avrebbero prodotto serie tv per la piattaforma streaming Amazon Prime Video. Secondo i suoi piani di crescita avrebbe dovuto – in concorrenza a Netflix – diventare la più grande società di intrattenimento del futuro.

Del resto, non stava facendo nulla di diverso rispetto a quello che chiedeva il principio 8: «Pensa sempre in grande». Nel 2010 era solo un retailer online di successo, un cloud provider alle prime armi e un precursore degli ebook, ma Bezos immaginava che Amazon potesse diventare molto più di questo. Intelligenza artificiale, apprendimento automatico, informatica conversazionale: secondo lo sguardo grandangolare di Jeff, in futuro la gente avrebbe parlato con i propri dispositivi. Nel frattempo, lui parlava a suoi collaboratori durante le riunioni e dal suo angolo proferiva parole ottuse, ma solo in senso geometrico. «Le innovazioni più grandi saranno quelle che ai clienti non viene neanche in mente di chiedere. Dobbiamo inventare al loro posto. Dobbiamo attingere alla nostra immaginazione per scoprire che cosa è possibile».

Jackie e Mike non sapevano che cosa sarebbe stato possibile quando misero in mano al loro figlio la somma di 245.000 dollari per partire. Jeff non perse tempo e glielo dimostrò applicando alla lettera il motto «Get Big Fast». 30, 40, 50 per cento: gli ordini di libri crescevano ogni settimana, mentre assumeva nuovi dirigenti, apriva altri magazzini, faceva la prima offerta pubblica di titoli per la quotazione in borsa, affrontava la prima causa legale di un concorrente: la libreria Barnes & Noble. Era solo il 1995, ma Jeff Bezos, da quel grandangolo che era, già pensava all’estensione di marca: cd, dvd, giocattoli, elettronica, web service, lettori ebook, negozi fisici. «Arriveremo sulla luna» disse un giorno a Howard Schultz, Ceo di Starbucks. Nel frattempo, atterrava sulla copertina del Time come Persona dell’anno: la sua testa già un bel po’ spelacchiata spuntava da una scatola pronta per la consegna. Ma sotto quella patina di apparente successo si nascondeva il caos del mare agitato.

Magazzini che non soddisfacevano gli ordini dei clienti, impiegati che lasciavano le scrivanie per andare a imballare i pacchi per le spedizioni. Con le casse senza una goccia di liquidità, all’inizio del nuovo millennio Amazon stava per andare sotto, mentre eBay e Walmart navigavano come un fuoribordo nel mare del mercato grazie a un’offerta di prodotti più ampia online e a prezzi più bassi nella catena di negozi fisici. Per quel tanto che poteva bastare a non affondare, Jeff riuscì a tenere la testa fuori dell’acqua e a lanciare la ciambella di salvataggio. Si trattava di aprire il sito amazonpuntocom ai terzi che avrebbero così potuto vendere i propri prodotti. In cambio Bezos avrebbe visto l’ingresso di nuovi clienti e con le commissioni avrebbe guadagnato su quelle vendite. La nuova liquidità, utilizzata per abbassare i prezzi e finanziare metodi di consegne più rapide, lo avrebbe fatto riemergere dall’acqua. Un ordine innescava altri ordini, il processo si autoalimentava e da quel mare mosso al punto giusto Jeff iniziava a vedere la luna.

Visti da fuori, gli uffici all’incrocio tra la Terry Avenue North e Harrison Street apparivano del tutto anonimi. Ci dovevi entrare dentro per capire che quello che li faceva funzionare non si era mai visto prima. Blu per chi aveva accumulato meno di 50 anni. Giallo fino a 10, rosso se arrivava a 15. L’anzianità di servizio era esposta come una hard skill sul badge attorno al collo. Lo infilavano al mattino mentre salivano con l’ascensore che li portava al piano del loro reparto. Nel frattempo, ripassavano i 14 principi della leadership che Jeff aveva fatto appendere alle pareti. All’epoca aveva 46 anni e girava di persona tra i piani a illustrare quei punti ideologici. Soprattutto il numero 10: «Cerchiamo di non spendere soldi per cose che non vanno a vantaggio dei clienti. La parsimonia genera spirito di iniziativa, autosufficienza e inventiva». Era la moglie MacKenzie ad accompagnarlo ogni giorno al lavoro con la sua Honda monovolume. E quando saliva a bordo del suo Dassault Falcon 900EX per un viaggio di lavoro, Jeff ricordava ai suoi collaboratori che il carburante non lo pagava il bilancio dell’azienda, ma le sue tasche.

Anche perché, con l’idea di vendere qualsiasi prodotto ovunque e metterci molto poco tempo a farlo, avrebbe messo le mani nelle tasche di milioni di persone. 16 anni prima allargare lo spazio di vendita e restringere il tempo nel farlo era solo un’idea al quarantesimo piano di un grattacielo di Midtown Manhattan. A 30 anni Jeffrey Preston Bezos aveva lasciato il suo lavoro al fondo speculativo D.E. Shaw di Wall Street per dare vita a una libreria online. Mentre sua moglie guidava la vecchia Chevy Blazer in direzione nordovest, sul posto passeggero Jeff studiava proiezioni finanziarie nel suo laptop appoggiato sulle gambe. Era il 1994 ed erano appena usciti dal garage in un sobborgo a est di Seattle. Al centro c’era una vecchia stufa in ferro battuto e attorno due scrivanie comprate al negozio fai da te della catena Home Depot che Jeff aveva montato con le sue mani.

Eppure, i soldi non li avrebbe fatti con la vendita, ma con gli affitti. Amazon non sarebbe diventata il più grande negozio digitale, ma la più grande agenzia immobiliare del pianeta. Il core business di Jeff Bezos non sarebbe stato allestire vetrine con gli algoritmi, ma affittare grandi magazzini digitali a piattaforme che per funzionare in streaming avrebbero avuto bisogno di un sacco di dati e di spazi dove conservarli. AWS Amazon Web Services li avrebbe creati per aziende che portavano già un certo nome addosso: Snfc, Decathlon, Bbc, Cia, Netflix.

Quando nel 1995 arrivò il momento di scegliere il nome non sembrava avere le idee chiare su quale strada percorrere. Cadabrapuntocom fu il primo a mettere sul tavolo, ma al di là delle magie che avrebbe potuto fare con l’intelligenza artificiale, non dava l’impressione di essere un nome molto intelligente: per venderli i libri bisognava nominarli. Eppure, Bookmallpuntocom lo sentiva banale all’orecchio e Relentlesspuntocom esprimeva sì il carattere coriaceo di Jeff Bezos, ma non fino in fondo la sua mania di grandezza. Alla fine, immaginò quante parole avrebbe fatto scorrere sotto gli occhi dei lettori secondo le sue proiezioni finanziarie. Si chiese qual era il più grande fiume del mondo e solo a quel punto Amazonpuntocom gli servì sul tavolo la risposta.

Andrea Ingrosso

Copywriter – Autore di scrittura per le aziende.

© 2022 Mamy

DOLCE ATTESA.

Leggere un classico della narrazione è sempre un piacere. Ma riscrivere quel racconto secondo il proprio punto di vista narrativo è un piacere doppio. Si smontano i fatti dall’ordine cronologico della storia e si rimontano le scene secondo il proprio gusto cinematografico. È l’argomento della lezione 5 del corso di narrazione Ciak, si racconta. Scrivimi a questo indirizzo pancione@mamyadv.com o chiamami a questo numero 338 5322126. Sarà un piacere per me presentarti le 10 lezioni.