Yvon Chouinard,
una persona per il
bene del pianeta.

Se non avesse imparato ad arrampicare prima ancora di camminare, da grande avrebbe voluto fare il cacciatore di pellicce. Del resto, ha sempre preferito dormire sotto un albero, dentro un vecchio sacco a pelo dell’esercito. La sua prima tenda la pianterà solo a 40 anni. Prima di allora pianta invece un sacco di chiodi nella roccia per salire sulle pareti dello Yosemite. E visto che li deve lasciare lì, conficcati nella terra che vuole scalare, inizia anche a produrli.

Da un rigattiere trova gli attrezzi per farlo: una fucina a carbone di seconda mano, un’incudine di 60 chilogrammi, tenaglie e martelli di tutti i tipi. Lui ci mette tutto l’autodidattismo dei suoi 18 anni. In tasca i genitori gli mettono 825,35 dollari: userà quel prestito per acquistare una matrice per la stampa a caldo. E sa già che cosa fare di quel vecchio pollaio dietro casa a Burbank, una piccola città nella contea di Los Angeles. Con l’aiuto di suo padre lo trasformerà in un’officina.

Ma quando scopre che gli attrezzi da lavoro sono facili da trasportare, non ci pensa due volte a caricarli in auto in quelle giornate fatte apposta per andare a fare surf sulla costa californiana. Tra un’uscita in mare e l’altra si mette a fabbricare chiodi a freddo sulla spiaggia. È anche per questo che stampa su un foglio ciclostilato il primo catalogo con l’avvertenza per il cliente: «Non aspettatevi consegne in pochi giorni tra maggio e novembre». Ma quando non è sulla cresta di un’onda o sulla cresta di una montagna, forgia per 10 ore al giorno senza mai fermarsi.

I compagni di cordata sono i primi a diventare i suoi compagni di lavoro: condividono quel modo di lavorare che non si arrampica sulle solite convenzioni. Con loro studia e ricerca soprattutto la qualità dei prodotti: un pezzo che non funziona può uccidere qualcuno. Così, mentre la concorrenza si affanna ad aggiungere componenti ai prodotti, loro tolgono peso e volume ai pezzi, ma senza togliere resistenza al materiale e sicurezza al funzionamento. In una baracca di lamiere e vecchie staccionate prese da un ranch iniziano pure a venderli.

È il 1970 e la Chouinard Equipment è il principale fornitore negli Stati Uniti di attrezzatura da arrampicata. Per alcuni è anche un pericolo per l’ambiente. Piantare chiodi per aprirsi una via verso la vetta ha un costo per la montagna: lascia quei pezzi conficcati nella roccia e un segno indelebile nel paesaggio. È il momento di dare il via alla svolta. Smettono di produrre chiodi e iniziano a forgiare dadi: si incastrano nella roccia senza romperla con il martello. Ma le vie di un brand possono essere più di una. Yvon Chouinard lo scopre un giorno di ritorno da un’arrampicata in Scozia.

Aderenti al corpo, rinforzate nelle cuciture, resistenti agli impatti: le maglie da rugby sembrano pensate per salire una parete, non solo per stare in una mischia. Ne porta alcuni modelli in America e inizia a produrle, ma senza mischiarle con l’altro prodotto. Le attrezzature per l’arrampicata rimangono sotto il marchio Chouinard Equipment. Sopra l'abbigliamento per condizioni estreme fa la sua comparsa per la prima volta il brand Patagonia.

Un vecchio furgone Ford sulla strada e una capanna traballante sulla spiaggia era tutto quello che all’inizio possedeva. Ora Yvon ha una fabbrica con debiti da ripianare e operai da pagare. È costretto a riconoscerlo: è sì un imprenditore sulla carta, ma lo sarà a modo suo sulla Terra. «Padroneggia quello che fai fino all’80%, poi passa ad altro perché andare oltre richiede ossessione e specializzazione».

Eppure, Patagonia diventerà un’azienda specializzata sul prodotto, non sul brand. A cominciare dalla giacca Foamback. È rivestita di nylon e di un sottile strato di gommapiuma e garza per renderla più calda e ridurre la condensa quando piove. Per produrla Yvon rompe gli schemi del marketing. Il suo sviluppo richiede 18 mesi di ricerche, prototipi e test: troppo per competere con le mode sempre più obsolete e obsolescenti. Patagonia punta invece sulla funzionalità nel tempo, perché se un prodotto funziona nella lunga distanza potrà correre per l’ambiente e superare tutte le mode.

Prima viene il prodotto, poi il brand. Prima viene il metodo di lavoro, poi il lavoro. Prima viene la Terra, poi tutto il resto. «Il più grande aiuto che possiamo offrire al pianeta come consumatori è allungare il più possibile nel tempo l’uso che facciamo di uno stesso prodotto». Aggiustare i capi di abbigliamento riduce il bisogno di comprarne altri nel mercato e la necessità di emettere altra anidride carbonica nell’aria. Il centro riparazioni di Patagonia a Reno nello stato del Nevada diventerà la più grande struttura del West America. Da consumatori transeunti i possessori di un capo Patagonia diventeranno proprietari permanenti.

Per farlo Yvon rompe gli schemi del recruiting: «I lavoratori migliori sono i primi consumatori del prodotto». A un candidato con un Mba preferirà sempre un arrampicatore itinerante. Venditori di articoli outdoor, attivisti per l’ambiente, designer, cowboy di rodeo, giornalisti, addetti all’autolavaggio, pescatori, sceneggiatori, pittori, insegnanti di liceo, giudici di pace in guerra con sé stessi, avvocati che non sopportano i giudici, cantanti di gospel, piloti di aereo, guardie forestali, nerd informatici, mamme che allattano. Un assortimento estremo di figure professionali con lo sport estremo nel sangue. «È più difficile insegnare ai neo assunti ad arrampicare che insegnare un lavoro di ufficio a un arrampicatore».

In Patagonia sostengono colloqui con i futuri colleghi di ufficio o di reparto prima che con il capo. Ad accoglierli c’è un orario flessibile già dal primo giorno. La neve non aspetta la fine dell’orario di uno sciatore. Un surfista ha bisogno delle onde non di un permesso dall’orario. In Patagonia sono liberi di uscire quando la montagna o il mare li chiama. Se è un bambino a chiamare perché ha fame o perché ha la febbre, la sua mamma può staccare e correre ad allattarlo o a curarlo. Anche questo è uno sport estremo che in Patagonia prevale sull’orario.

Più che persone perbene, sulla Terra ci vorrebbero persone per il bene. Persone che non diventano un'applicazione di marketing o un dispositivo di personal branding per apparire persone perbene, ma si applicano a fare qualcosa per il bene del pianeta. Sono disposte a farlo, non a mostrarlo. Non parlano di sé stesse con le unghie laccate di verde, ma se le sporcano per salvare la Terra. Un’azienda che monta i pannelli solari è un’azienda perbene: prende posizione sul tetto del capannone. Un’azienda per il bene invece finanzia le spedizioni scientifiche negli angoli del pianeta o il suo fondatore la cede per salvarlo. «Ecco Patagonia. Fatene quel che vi pare. Io vado ad arrampicare».

Andrea Ingrosso

Copywriter – Autore di scrittura per le aziende.

© 2022 Mamy

DOLCE ATTESA.

Leggere un classico della narrazione è sempre un piacere. Ma riscrivere quel racconto secondo il proprio punto di vista narrativo è un piacere doppio. Si smontano i fatti dall’ordine cronologico della storia e si rimontano le scene secondo il proprio gusto cinematografico. È l’argomento della lezione 5 del corso di narrazione Ciak, si racconta. Scrivimi a questo indirizzo pancione@mamyadv.com o chiamami a questo numero 338 5322126. Sarà un piacere per me presentarti le 10 lezioni.