Tra le manie e le epifanie
di Nikola Tesla.

18 tovaglioli di lino, uno sopra l’altro. Il cameriere glieli faceva trovare sempre accanto al piatto. Non aveva mai saputo spiegarla quella preferenza verso i numeri divisibili per 3 e nemmeno la paura inguaribile per i germi, ma almeno questo faceva chiarezza sul perché al Waldorf Astoria Hotel dove alloggiava, la cristalleria e l’argenteria subivano un passaggio in più. Alla sua sinistra la pila di tovaglioli ripiegati scendeva, alla sua destra una montagna di tessuto disordinato saliva in attesa che il maître in persona gli servisse il primo dei piatti. Non li ordinava al momento dal menu, ma li faceva preparare prima con precise istruzioni telefoniche. Poi, di ogni contenuto del piatto calcolava la dose del boccone da portare alla bocca. In quella determinazione – secondo Nikola Tesla – stava tutto il piacere del mangiare.

«Se non ha programmi più esaltanti per la serata potrebbe raggiungermi al Player’s Club». Quando un fattorino si avvicinò al tavolo per consegnargli il biglietto, stava calcolando la dose di dessert da mettere in bocca. Riconobbe la scrittura dell’amico Mark Twain, ma erano quasi le dieci. Come sempre a quell’ora avrebbe raggiunto il 33-35 di South Fifth Avenue a Manhattan. «Peccato devo lavorare. Ma se vuole passare in laboratorio a mezzanotte, le prometto che si divertirà». Allo schioccare delle dita una sfera di fuoco rossa si formò tra le sue mani. Rotolava sugli abiti, sui capelli, sulle ginocchia e niente prendeva fuoco, mentre Mark Twain si chiedeva come facesse a non bruciarsi. C’era pure da chiedersi come mai le luci alle pareti sembravano non avere fili collegati all’impianto elettrico. Potevi spostarle in qualsiasi punto del laboratorio e sarebbero rimaste accese. A un certo punto si spensero e lasciarono tutti gli ospiti al buio.

«Ora creerò per voi una luce simile a quella del giorno». Nessuno capiva da dove arrivasse. Ce n’era abbastanza per vedere un piccolo animale restare fulminato su una piattaforma dove era stato legato: la lancetta segnava 1000 volt. Quando Tesla prese il suo posto la tensione, passando attraverso il suo corpo, salì a 2 milioni di volt. Un alone di elettricità ne disegnava la sagoma nell’aria con lingue di fuoco che saltellavano da ogni parte. Un ospite si prestò per fare da cavia: «È come stringere le maniglie di una potente batteria elettrica». Tesla era diventato un cavo elettrico vivente in un altro dei suoi numeri di intrattenimento.

«Questa invece rivoluzionerà gli ospedali: ci sto ancora lavorando». Indicò agli ospiti una piattaforma montata su un’imbottitura di gomma. Un interruttore attivò una vibrazione silenziosa. «Me la faccia provare» si fece avanti Twain che iniziò a vibrare come le ali di un insetto e a godere come le membra di un coniglio, prima di ritrovarsi seduto a scaricare sulla tazza del bagno. Tesla non lo aveva avvertito del potere lassativo della macchina che stava inventando.

A inventarsi numeri per intrattenere il pubblico Tesla aveva iniziato già da piccolo. A Smiljan, un piccolo villaggio nella provincia di Lika in Croazia, dal 1861 andarono in scena i primi esperimenti. Sembrava una magia, ma non lo era. Era liscia, senza pale, eppure girava nella corrente. 30 anni dopo in America se ne sarebbe ricordato durante la progettazione di una turbina priva di pale. Ma quel giorno, in quella casa vicino alla chiesa serba ortodossa, Nikola Tesla aveva solo 5 anni. L’agilità che gli consentiva l’età lo portarono una volta sul tetto del fienile. In pugno teneva un ombrello aperto mentre respirava l’aria in iperventilazione fino al punto di sentirsi così leggero da pensare di spiccare il volo. Quando si ritrovò al suolo era vestito di un gran spavento, ma il corpo sotto era ancora tutto intero.

Del fallimento però non prese paura: all’inizio era l’incoscienza dell’età, poi da adulto sarebbe diventato la consapevolezza del mestiere. Capì che ce ne voleva molto per fare funzionare una macchina alimentata da 16 fillofaghe: gli insetti sbattevano le ali disperati mentre il motore borbottava, ma il raggiungimento del fine non giustificava lo sfruttamento di quei poveri mezzi. Quando rischiò di annegare per riparare le tubature dell’impianto idrico del villaggio, capì di avere scelto un mestiere pericoloso. Tre volte i medici lo diedero per spacciato: in una stava per finire abbrustolito dentro la tinozza di latte bollente. A controbilanciare la dimestichezza per il pericolo si apriva l’antologia delle sue paure. La più nota era quella per gli orecchini, soprattutto se erano di perle. Gli provocava nausea l’odore della canfora come un sapore disgustoso in bocca vedere quadratini di carta cadere in un piatto pieno di liquido. Contava i passi quando camminava da solo, non toccava i capelli degli altri quando era insieme a loro.

La paura di non potere leggere per tutta la notte metteva alla prova il suo ingegno: il padre gli nascondeva le candele e lui si procurava il materiale per costruirle da sé. «Se mi lascerai studiare ingegneria forse riuscirò a guarire». A letto da 9 mesi per il colera, non aveva bisogno di disegnare prototipi: la costruzione la modificava nella sua immaginazione, il progetto lo migliorava nella mente. Così, quando alla fine usciva dalle sue mani, l’invenzione era pronta per entrare in funzione. Per questo non sopportava di entrare in aula per il corso obbligatorio di disegno libero. Al Politecnico di Graz in Austria fece in tempo a superare 9 esami nel primo anno prima che gli togliessero la borsa di studio. Cercò di chiedere un prestito, ma trovò denaro solo come giocatore d’azzardo. E mentre il suo destino lo relegava al ruolo di autodidatta, si prefigurava l’azzardo che non era un gioco: lasciare il proprio paese per inseguire i propri sogni.

A indicargli la via fu Charles Batchelor, un tecnico inglese per molti anni assistente di Thomas Edison. A lui scrisse la lettera di raccomandazione che Tesla teneva in mano quando si imbarcò a bordo della nave Saturnia. In tasca pochi spiccioli, il resto se l’era portato via il biglietto di viaggio. Di tutto il materiale prodotto in quegli anni portò con sé solo alcuni articoli che aveva scritto e un po’ di poesie che aveva buttato giù su un quaderno. All’ultimo, in valigia trovò il posto, tra una camicia e un paio di pantaloni ben ripiegati, anche per quel grosso pacco di calcoli con cui cercava di sondare un problema da lui definito senza soluzione e una cartella con i disegni di una macchina volante.

Ma quello che non avrebbe potuto lasciare in Europa, perché si trovava ben dispiegata in ogni angolo del suo corpo, era quella spiccata sensibilità per tutto quello che gli accadeva attorno – a poca o a grande distanza – al punto da fare di lui un essere umano al di là di ogni essere più o meno simile e al di là di ogni umanità più o meno comprensibile. E così, sarebbe continuata a suonare come uno schianto all’orecchio il volo di una mosca atterrata su un tavolo, come nitidi gli sarebbero apparsi i tuoni lontani 850 chilometri e il ticchettio di un orologio a distanza di tre stanze. L’amplificazione di ogni rumore lo aveva portato a salvare più volte i vicini nel villaggio di Smiljan, svegliato dai crepitii delle fiamme.

Il suo corpo avrebbe tremato al ritmo di un motore a scoppio se un treno fosse passato a pochi chilometri da dove si trovava, come da piccolo un formicolio alla fronte gli faceva rilevare al buio la presenza di un oggetto a poco più di 3 metri e mezzo. Eppure, nessun medico lo mise sotto osservazione per studiarne il caso in modo approfondito come avrebbero meritato quelle manie e quelle epifanie. I pochi che ebbero voglia di visitarlo se ne sbarazzarono diagnosticandolo prima come esaurimento nervoso, poi come disturbo incurabile. Tesla provò a uscirne grazie a un amico, Anital Szigety, che lo indottrinò sui vantaggi dell’attività fisica, proprio lui che della Fisica avrebbe fatto l’attività di tutta una vita. Aveva solo 28 anni, ma già tra i più grandi inventori del mondo. Il guaio per lui, ma ben presto anche per i colleghi, era di essere ancora l’unico a saperlo.

Andrea Ingrosso

Copywriter – Autore di scrittura per le aziende.

© 2022 Mamy

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