È morto l’istinto di sopravvivenza.

6 anni e 354 giorni. Non ci resta molto tempo per salvarci. Abbiamo perso l’istinto di sopravvivenza. Finché ci tocca essere degli homo sapiens, perché prendersi la briga di stare al mondo? Siamo arrivati quasi alla fine di questa termodinamica gozzoviglia a base di combustibili fossili. E mentre andiamo sempre più giù a prenderci le ultime gocce, ci tiriamo un po’ su con il marketing della sostenibilità.

C’è così tanta sostenibilità in giro che tra poco potremo sostenere la Terra al posto del titano Atlante, i pensieri di Hegel come fossero favole e – tra una pagina e l’altra – l'insostenibile leggerezza dell'essere. Facciamo fuoco e fiamme per un pannello solare sopra la testa, ma ignoriamo che i ghiacciai si sciolgono, la plastica surfa sulle onde, le foreste dell’Amazzonia e dell’Australia bruciano: il metabolismo della Terra si spegne alla velocità di 3 campi di calcio al minuto.

Se i segnali di fumo lanciati come coltelli continueranno a segare il ramo dove il mondo si tiene aggrappato con equilibri gravitazionali, arriverà presto il nostro ultimo giorno. Conteremo gli alberi con un solo colpo di sguardo, mentre precipiteremo nello spazio senza fine. C’è più di un miliardario che sta progettando navicelle spaziali per l’evasione dalla Terra e la latitanza su Marte. Del resto, siamo homo sapiens anche per questo.

Non solo per questo la Terra ha perso il suo equilibrio. Siamo nella morsa di due estremi. Tra brevi periodi di acqua che sommerge tutto e tutto si ritrova sotto la superficie, e lunghi periodi dove l’acqua scompare del tutto e dappertutto troviamo una superficie che lancia il suo sos. Di fronte agli avvisi di garanzia che l’accusa dell’ambiente ci recapita a ogni sorgere del giorno, che cos’altro possiamo fare per sostenere la nostra difesa? Abbiamo trasformato un paradiso in un barcone alla deriva, una terra promessa in una terra ormai perduta.

Sono prove di recidività rivolte contro noi stessi. Ci vogliono entità garze per intervenire subito e bloccare perdite torrenziali. Poi, alle stesse velocità, ma lampeggianti, ci portano in posti più sicuri. Lì, ci sono linee da seguire quando il soccorso diventa più pronto. Bianca, verde, azzurra, arancione, rossa: a volte curvano, ma poi si raddrizzano. Si chiamano codici. Servono per capire il nostro stato e la nostra posizione rispetto a quello che sta accadendo e rispetto a dove finiremo per ritrovarci. È comunque un’attività che ci riporta alla realtà: anidride solforosa nell’aria, microplastiche nel mare. Non è un riferimento teorico: è tutto vero, purtroppo.

In altri risvolti, le linee vengono chiamate corridoi umanitari. Servono per capire entro quanti minuti verremo sottoposti a determinate prestazioni. Sono elementi di confronto: ci fanno capire se stiamo comunque bene o male, se siamo vivi o morti. Alla fine, però, nulla di bene, anzi. Meglio allora non riferirsi a nessun modello. Anche perché se la recidività del riferimento persiste diventa autodistruzione, per esempio, che per gentile concessione della natura ci viene ricordata con manifestazioni di protesta: inondazioni, siccità, sbriciolamento dei ghiacci ai poli, crollo dei ghiacciai sulle montagne. Si dovrebbero chiamare lezioni di vita. Qualcosa di difficile da imparare.

Quello che non è difficile da imparare è la causa. Non sta solo nella mancanza di precipitazioni della natura, ma soprattutto nel riscaldamento del pianeta. Lui, povero, non ha avuto un anno più freddo della media dal 1976. Quelli tra il 2013 e il 2021 sono stati tra i 10 anni più caldi dal 1880, quando l’uomo iniziò a registrare le temperature terrestri. «Ci sono 99 probabilità su 100 che anche il 2022 entri nella classifica dei primi 10» ha dichiarato 6 mesi fa Russell Vose, capo del monitoraggio del clima della NOAA.

La siccità di oggi non sarebbe così grave senza il grande fornello che abbiamo acceso sotto la Terra. Il 42% del surriscaldamento lo emette il calore dell'anidride carbonica intrappolata nell’atmosfera dalla calotta della serra. Se lassù le temperature si alzano, l'atmosfera ha più sete: il suolo e la vegetazione si seccano come le piante dentro le nostre case quando accendiamo il riscaldamento. Fuori invece i terreni si asciugano e scorre meno acqua nei torrenti e nei fiumi. Ma la goccia che fa traboccare il vaso della tragedia del clima sono gli oceani: stanno immagazzinando un sacco di calore che proviene dall’effetto della serra. È come il fuoco del gas acceso sotto la calotta glaciale artica e antartica. Ci siamo imprigionati tra due fuochi. Non ne usciremo vivi.

Eppure, la temperatura da sola non basta a spiegare fino in fondo la tragedia del clima: ci vuole l’umidità. Non basta misurare il riscaldamento globale solo con i gradi centigradi, come se il pianeta fosse sopra un grande fornello che lo cuoce. Quando la Terra si riscalda, l'aria trattiene più umidità: quasi il 4% per ogni grado Fahrenheit: il 7% per ogni grado Celsius. E quando quell'umidità si condensa, rilascia calore o energia. È per questo che quando piove, ora piove davvero. Piove con tutta quella quantità di acqua. Il vapore acqueo è un gas carceriere: intrappola il calore nell'atmosfera e chi ne fa le spese è il clima che cambia.

Dal 1980 al 2019, la Terra che abbiamo sotto i piedi si è riscaldata di circa 1,42 gradi: corrispondono a 0,79 gradi Celsius. Ma se consideriamo l'energia prodotta dall'umidità, la Terra che abbiamo sotto i piedi si è riscaldata e inumidita di 2,66 gradi: 1,48 gradi Celsius. È questo aumento di energia finora non rilevato, ma comunque presente nell'aria, che provoca inondazioni, tempeste, diluvi universali e siccità. Se aggiungiamo al calore i dati sull’umidità, emerge che il cambiamento climatico dal 1980 è quasi due volte più grave. Abbiamo fatto i conti senza l’acqua. Senza l’acqua nell’aria. Senza l’umidità.

Ha iniziato da un bel po' a essere così. La Terra è sempre di meno un pianeta e sempre di più un piano marketing per il business della sostenibilità. Le aziende sostengono l'immagine delle ossa rotte della Terra sempre più a terra, mentre maneggiano le sue risorse con le unghie laccate di verde. Emettono ogni giorno un’antologia di proclami sulla sostenibilità. Emettono ogni giorno un palinsesto di réclame su quanto sono green. Ma è solo il verde patinato del marketing in copertina: sotto c’è il grigio del gas serra che non cessano di emettere. La sostenibilità della ragione non è solo un effetto ambiente, ma anche una resa dei conti con sé stessi.

Al posto di unire il verde dello sviluppo sostenibile al blu della cittadinanza digitale nella linea di connessione con il mondo, bisognerebbe avere la forza della ragione per curvare l’arcobaleno sopra ogni linea di orizzonte. E invece, nonostante tutta la nostra passione per la vita ci stiamo appassendo come un grappolo di uva lasciato sulla vite. Ma il retrogusto che ci lascia in bocca non è dolce. Moriremo con l’amaro in bocca. L’occasione di sopravvivere ormai l’abbiamo perduta.

Andrea Ingrosso

Copywriter – Autore di scrittura per le aziende.

© 2022 Mamy

DOLCE ATTESA.

Leggere un classico della narrazione è sempre un piacere. Ma riscrivere quel racconto secondo il proprio punto di vista narrativo è un piacere doppio. Si smontano i fatti dall’ordine cronologico della storia e si rimontano le scene secondo il proprio gusto cinematografico. È l’argomento della lezione 5 del corso di narrazione Ciak, si racconta. Scrivimi a questo indirizzo pancione@mamyadv.com o chiamami a questo numero 338 5322126. Sarà un piacere per me presentarti le 10 lezioni.